Il nuovo libro di Alberto Paleari non solo ci accompagna piacevolmente sui sentieri Walser della Valsesia e della Val Strona, ma è anche un elogio dell’escursionismo curioso, capace di ricercare e scoprire straordinarietà anche vicino a casa.

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A piedi lungo il sentiero che unisce Alagna, in Valsesia, a Campello Monti, piccola località della Val Strona: questo il cammino raccontato da Alberto Paleari nel libro “La finestrella delle anime” (MonteRosa edizioni, 204 pagine, 16,90 euro). Il volume viene definito nei risvolti di copertina una riscoperta di luoghi, uomini e storie al cospetto del Monte Rosa, sulle tracce del popolo Walser con le sue tradizioni: una delle quali riguarda la finestrella del titolo, quell’apertura che si può notare sulle lignee facciate delle abitazioni, creata per consentire alle anime dei deceduti di andarsene in cielo o dove meglio gradiscono. Turismo di prossimità dunque. Paleari, che pure ha tanto viaggiato come guida alpina, può essere fiero di potersi in questo campo considerare un precursore. Ossolano spirto bizzarro, nato e cresciuto sulle rive del Toce (dove si è anche occupato di un’azienda vinicola ereditata dal padre), è autore di una quantità notevole di guide cartacee dedicate a questo meraviglioso territorio appartenente al Piemonte ma con un’anima lombarda che fa capolino anche nel dialetto. Ben sei guide alpinistiche di Paleari sono infatti dedicate alle vette dell’Ossola con una curiosa predilezione per quelle che sfiorano i quattromila metri senza essere dei quattromila. Per non dire dei libri “on the road” alla scoperta in chiave turistica ed esplorativa delle meraviglie di queste sue amatissime vallate. 

Paleari A zonzo tra i Walser
Alberto Paleari
In apertura: Il borgo Walser di Rima in Valsesia

A una certa età si dà comunque il caso che Paleari si sia fatto prendere dalla voglia di andarsene a piedi, tormentato da una specie di complesso. Sa di avere colpevolmente trascurato, in precedenza, i fondovalle come se non esistessero. E ciò per accompagnare, da guida alpina, i clienti alle alte quote. Per la Valsesia, poi, confessa di nutrire una passione speciale. “Prima ancora dell’arte e dell’architettura, ciò che ha reso la Valsesia unica e indimenticabile”, scrive, “sono le sue montagne, le foreste, i prati, le creste, la vegetazione lussureggiante, i torrenti limpidi e pescosi, gli animali selvatici che la popolano, la presenza costante del Monte Rosa con l’immane massa scintillante dei suoi ghiacci”. Non c’è da stupirsi quindi se, in tema di prossimità, questo è il terzo libro dell’ossolano Paleari ambientato in Valsesia. Riassumendo, nel 2016 si cimentò con “L’angelo che scese a piedi dal Monte Rosa” sulla vita del pittore walser Tanzio da Varallo, nel 2017 con “Verso la montagna sacra” raccontò invece il suo cammino tra Orta e Varallo Sesia.

Tenendo fede alla sua innata predisposizione al consumo delle suole delle scarpe, anche questa volta Paleari affida alla nostra curiosità un libro scritto cammin facendo, con incontri, divagazioni, imprevisti, memorie, testimonianze del suo inesausto spirito di scoperta. Tutto ciò che racconta si riferisce all’estate del 2019. Lo accompagnavano Livia, compagna colta e avventurosa, ed Enea, un simpatico border collie al quale Paleari riserva coloriti scampoli di cinofilia. Non bisogna però aspettarsi che il libro sia una guida escursionistica e neppure che sia un saggio storico, sociologico e artistico come a ben guardare non lo sono, se è lecito il paragone, i libri dell’intrepida Freya Stark o del vagabondo alpinista Piero Ghiglione.

Per capire meglio di che cosa si tratta, basti dire che, alla sua non più tenera età, Paleari non esita a definire “straordinari” (proprio così) questi viaggi caserecci e riesce a comunicarceli con una specie di stupore tenero e fanciullesco come se noi fossimo lì ad ascoltarlo con un bicchiere di birra in mano. Il segreto di questa sua freschissima vena narrativa, di questo suo abbandonarsi anche a qualche licenzia spazio temporale, Alberto lo spiega a un certo punto del libro con un inciso, un po’ come negli “a parte” gli attori si concedono talvolta delle divagazioni extracopione rivolgendosi al pubblico. “Per molti anni”, confida udite udite Paleari, “anzi per quasi tutta la vita sono stato soltanto un alpinista, e dico soltanto perché penso che l’alpinismo moderno, al contrario di quello scientifico ed esplorativo dell’età d’oro, sia diventato più che altro uno sport, e si avvii a diventarlo sempre di più. Solo da poco sono salito al rango di escursionista, e dico salito perché agli escursionisti è rimasta la curiosità intellettuale che gli alpinisti hanno perso, intenti come sono alla cura del corpo e agli allenamenti, a diventare più forti, flessibili, capaci, coraggiosi e competitivi”.

Ma forse non bisogna prendere del tutto in parola l’amico Paleari. Perché è probabile e anzi certo che l’alpinismo con la sua particolare e magari illusoria ricerca della libertà, con le straordinarie emozioni che gli ha offerto, compreso l’essere sfiorato “dal soffio di una valanga” che poteva costargli la vita, gli sia rimasto non solo nel cuore ma anche in quelle mani che ancora sanno accarezzare gli appigli di roccia quando non corrono con maestria sui tasti del Mac. 

8 Maggio 2020
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