Sono passati 70 anni da quando Edmund Hillary e Tenzing Norgay calcarono per primi la vetta dell’Everest, il tetto del mondo. Pensavano che nessuno avrebbe ripetuto quell’ascensione, ma le cose non sono andate per nulla così. Ci sono state le salite in stile alpino, le spedizioni commerciali e ora folle e rifiuti intristiscono Chomolungma, come chiamano il monte i Tibetani. Serafin ripercorre alcuni episodi delle salite sull’Everest richiamandoci le pagine dei libri che ce li hanno raccontati.
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29 maggio 1953: prima salita all’Everest
Anche la rivista Internazionale ce lo ricorda mandando in edicola in questo mese di giugno un numero speciale semplicemente intitolato “Everest”. Già. È l’anno dell’Everest. Sono trascorse 70 primavere dalla prima ascensione e 50 dalla prima italiana di cui sarà il caso di riparlare. Fra tanti fatti e misfatti non si poteva certo trascurare un evento così importante. È il 2 giugno 1953, la Gran Bretagna festeggia l’incoronazione di Elisabetta II e i media diffondono le prime notizie su un altro avvenimento epocale: la conquista della montagna più alta della Terra.
Per chi se li fosse dimenticati, Il neozelandese Edmund Hillary e lo Sherpa Tenzing Norgay furono i primi uomini a salire sul tetto del mondo. Ma dimenticarli è impossibile. Le loro immagini sono sui libri di scuola e, conquista a parte, le tirature dei libri sul tetto del mondo sono da capogiro. Sono state 140 mila le copie vendute in Italia di “Aria sottile” di Jon Krakauer pubblicato da Corbaccio. Il libro riguardava l’aspetto più spiacevole del tetto del mondo. Che risulta ben poco generoso con chi vi si avventura come si racconta in una miriade di pubblicazioni. Mettendo in rete con immagini la sciagura degli anni Ottanta raccontata da Krakauer, MountCity ha finora totalizzato 98 mila visite e ancora oggi sono in tanti ad affacciarsi saltuariamente su quell’orrendo scenario di morte. Uno scenario che in montagna esercita una particolare attrazione.
Everest 1953: la ricostruzione le vicende della spedizione inglese
Prendendo spunto dai cinque libri sull’Everest editi da Corbaccio sarebbe ora doveroso raccomandare in primis la lettura di “Everest 1953” in cui Mick Conefrey ricostruisce, attraverso documenti inediti e interviste con i protagonisti, le vicende che portarono al successo inglese. E rivela i retroscena, le crisi e le polemiche che nessuno ha mai raccontato: dalla ricerca dei finanziamenti alla ribellione degli Sherpa, dalle condizioni meteo avverse all’ostilità della stampa nazionale.
Conefrey rimette nella giusta prospettiva oltre alle grandi capacità organizzative a un sano spirito patriottico del colonnello Hunt, anche le personalità rimaste più in ombra nei resoconti ufficiali, come Eric Shipton, l’enigmatico “Mr Everest” a cui fu negata la guida della spedizione, o Tom Bourdillon e Charles Evans, che dovettero rinunciare a cento metri dalla vetta.
Everest per tutti? Non proprio, ma ora è pieno di rifiuti
Nonostante certe cattive notizie, di colpo nella scalata all’Everest tutto sembrò facile e a qualcuno scappò la frase “L’Everest è per tutti”. Diciamo che oggi l’Everest riserva soprattutto folla e rifiuti. Le spedizioni commerciali portano lassù centinaia di clienti e i passaggi cruciali sono affollati come spiagge a ferragosto. “Io e Tenzing pensavamo che nessuno ci avrebbe riprovato”, fu in ogni modo il commento di Hillary. La cima violata nel maggio 1953 con il contributo di 350 portatori, 20 sherpa e uno squadrone di alpinisti britannici, viene oggi definita una gara di strategia. Ma tutto l’alpinismo lo è da questo punto di vista.
Everest per tutti? Non esageriamo. La salita diventa sempre più pericolosa, in buona parte a causa del cambiamento climatico. Dai tempi di Hillary e Tenzing oltre 300 persone hanno perso la vita. Sempre irrisolto è poi il problema della tutela dei luoghi dall’inquinamento.
La tragedia del 1996 dal libro di Krakauer al film Kormakur
La tragedia dell’Everest raccontata nel 1996 da Jon Krakauer in “Aria sottile” arrivò nel 2015 sugli schermi. Cast stellare (Jake Gyllenhaal, Jason Clarke, Josh Brolin, John Hawkes, Jason Clarke, Emily Watson) come si è visto alla Mostra del cinema di Venezia dove “Everest”, kolossal del regista islandese Baltasar Kormakur, venne presentato in apertura. I duri e puri dell’alpinismo ebbero da ridire sul film così come avevano deplorato diciannove anni prima che Krakauer avesse costruito il suo magistrale best seller su quei poveri otto poveri diavoli sorpresi dalla bufera.
Le riprese vennero fatte in Val Senales e questo fece pensare al solito pastrocchio hollywoodiano. Anche la famigerata icefall dove nel 2014 morirono 16 sherpa era il frutto di un accurato lavoro al computer. “Non può raccontare la realtà: il film è stato girato su una pista da sci”, obiettò Messner giustamente perplesso. E forse era vero che l’Everest in quel film era solo un palcoscenico, che il romanzesco prevaleva secondo le regole dello show business.
Ma l’Everest, o Dea del Cielo, è sempre stato oggetto di fascinazione, ossessione, desiderio sia per gli alpinisti sia per i sognatori. Solo i più forti sono riusciti a raggiungerne la cima grazie alla loro dedizione, al duro allenamento, all’esperienza acquisita. Ormai, se si ha il denaro necessario, l’Everest è alla portata di tutti. Quando nel maggio del 1996 Krakauer fu inviato dalla prestigiosa rivista Outside a partecipare a una scalata dell’Everest per scrivere un articolo sulla proliferazione delle spedizioni commerciali, sembrò il logico coronamento di una carriera che era riuscita a combinare le sue due passioni: l’alpinismo e la scrittura.
Il 10 maggio 1996, però, una tempesta colse di sorpresa le quattro spedizioni che si trovavano sulla cima. Alla fine della giornata nove alpinisti erano morti, incluse due delle migliori guide. Krakauer fu tra i fortunati che riuscirono a ridiscendere “la Montagna”.
Ma bisogna riconoscere che “Aria sottile” è molto più che la cronaca di quella tragedia; il libro fa ancora discutere, offre una drammatica testimonianza del perché quella tragedia si poteva evitare. Concordo nel mio piccolo che Krakauer è un acuto esaminatore dell’ascetismo masochistico tipico degli alpinisti. Per voler salire l’Everest bisogna avere una buona dose di follia e il grande Dino Buzzati diede dei folli anche ad alpinisti di cui non faccio i nomi. Ma poteva permetterselo dall’alto del suo magistero di elzevirista e scrittore.
1980: Messner sale l’Everest con le sole proprie forze
È il 20 agosto 1980 quando Messner sale l’Everest in perfetta solitudine, senza ossigeno, dalla parete Nord. Il racconto è al centro di “Everest Solo” che narra anche il suo lungo viaggio attraverso il Tibet.
Misurandosi con la spossatezza e, a tratti, con la disperazione dopo essere precipitato in un crepaccio, Messner riflette sulle motivazioni che spingono quanti si cimentano con gli Ottomila. E le condivide con i lettori assieme alle pagine del diario della sua compagna di viaggio Nena Holguín, che seguì dal campo base la sua impresa.
Ed Viesturs, 7 volte in vetta all’Everest
E veniamo a Ed Viesturs che ha salito l’Everest undici volte, raggiungendo la vetta sette volte. A conti fatti, ha trascorso sull’Everest più di due anni della sua vita. In “La Montagna” l’americano alterna il racconto delle proprie scalate a quello di alcune fra le più celebri imprese degli ultimi cento anni, da quella di Mallory e Irvine, scomparsi nel 1924 a soli duecentocinquanta metri dalla vetta a quella, tragica, del 1996 dove trovarono la morte fra gli altri Rob Hall e Scott Fischer e che Krakauer descrisse in “Aria sottile”.
Beck Weathers: un altro racconto di un sopravvissuto del 1996
La storia che ha ispirato il film “Everest” e il romanzo di Krakauer è stata anche raccontata da uno dei protagonisti, il medico americano Beck Weathers che si trovava con altri alpinisti sotto la vetta.
Arrivato in condizioni disperate al campo base, cieco, ricoperto interamente di ghiaccio, venne abbandonato dai suoi compagni. Solo la moglie non si arrese e organizzò una rischiosissima missione di salvataggio. “A un soffio dalla fine”, il libro di Weathers edito come gli altri di cui si parla da Corbaccio, è stato ora ripubblicato con una nuova prefazione dell’autore a quindici anni dalla prima edizione.
Non occorre che sia il sottoscritto a dirlo, ma è la testimonianza emozionante e commovente di un sopravvissuto che ha saputo vedere la realtà che lo circonda, la famiglia, gli amici, la vita di tutti i giorni, con occhi nuovi. La disavventura gli è costata la perdita della mano sinistra e parte della destra e del naso per congelamento. Ma la fortuna di Weathers è che lui a differenza di tanti compagni di scalate è ancora qui a raccontarla, all’Everest piacendo.
Roberto Serafin
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