A centodieci anni dalla sua morte vale la pena ricordare i viaggi avventurosi di Giuseppe Vigoni (1846-1914) che alla fine dell’Ottocento fu sindaco di Milano e presidente del Cai milanese. Alla sua figura il Mudec ha dedicato una sala con una collezione di cimeli raccolti in Africa
Giuseppe Vigoni si sentiva semplicemente viaggiatore
“Lungi da me l’idea di farmi narratore di avventure straordinarie, intendo solo di descrivere un viaggio forse abbastanza originale per un semplice ‘touriste’, imponendo a me stesso di tenermi alla pura verità non solo, ma alla verità vera, cioè senza lasciarmi troppo avvilire nei momenti di scoraggiamento, né esaltare da quelli di soddisfazione, per mantenere al carattere d’ogni cosa il suo reale colore”.
Non era uno che amava esibire le sue avventure nei salotti milanesi Pippo Vigoni (1846-1914) come si può capire da queste parole tratte dal suo “giornale di viaggio” in Abissinia, un’esperienza raccontata in un libro pubblicato nel 1881 con il titolo “Abissinia. Giornale di un viaggio”. Nel libro figurano, sono sue parole, “tre panorami, 33 tavole illustrative, un facsimile di una lettera del re Giovanni ed una carta itineraria eseguita per cura della Regia Società Geografica Italiana”.
Vigoni non esitò a definire questo dell’Abissinia uno dei più bei sogni della sua vita. Fu nel settembre del 1878 che per la prima volta marurò l’idea del viaggio in quel “misterioso paese detto Continente Nero”. Ad “armare” la spedizione, come allora si diceva, fu il commendator Carlo Erba (1811-1888), quello che fondò l’importante azienda farmaceutica. Fu costituito un Comitato, alla presidenza del quale fu chiamato lo stesso Erba, imprenditore dai molti interessi culturali e sociali.
La spedizione in Abissinia
La spedizione puntualmente “armata” fu condotta da Pellegrino Matteucci, esploratore e fotografo, con il compito di indagare sulle possibilità commerciali della regione. Vigoni assicura che la sua presenza nella spedizione fu semplicemente in veste di dilettante.
La preparazione della grande avventura fu in ogni modo professionale. “Armi e munizioni come un po’ di pratica mi insegnava”, scrive Pippo, “ buone flanelle, abiti forti e comuni, scarpe che ricordano l’alpinista, qualche provvigione da bocca, qualche farmaco, e molta fede in Dio che nulla mi faccia mancare, e conservi sempre bene chi col cuore lascio in Italia”.
L’alpinista che era in lui ebbe buon gioco nei preparativi e in tutto lo svilupparsi dell’esperienza che inevitabilmente comportò seri rischi. Questa sua passione per le vette lo indusse a farsi socio e poi per tre volte presidente del Cai Milano tra il 1880 e il 1902 diventando anche vicepresidente generale del sodalizio.
Vigoni sindaco di Milano
Milano oggi ricorda Vigoni avendogli dedicato una strada dalle parti di porta Romana. Pippo fu sindaco della città fra il 1892 e il 1899, poi senatore. Particolare curioso. La sua passione per i viaggi come dimensioni di vita viene condivisa in questo millennio anche dall’ex sindaco Giuliano Pisapia che ama viaggiare soprattutto in India, e ci è tornato in otto occasioni girandola in autobus o in treno, dormendo dove capita, anche nei templi indù. Sembra una regola che i primi cittadini di Milano abbiano lo sguardo rivolto a paesi lontani e lo dimostra l’esperienza di Beppe Sala eletto dopo aver condotto in porto l’Expo.
Giuseppe Vigoni, qualche cenno biografico
Vigoni nasce quartogenito dei cinque figli del nobile milanese Ignazio Vigoni e Luigia Vitali, già moglie senza figli di Giulio Mylius, unico figlio del ricchissimo industriale serico, banchiere e filantropo Emilio. Ricopre a Milano ruoli politici di primo piano: dopo essere stato consigliere e assessore all’edilizia, nel settembre 1892 diviene sindaco, carica da cui si dimette due anni dopo ma che riassume dal 1895 al 1899. Dei suoi viaggi di cui qui si è parlato raccoglie numerosi appunti e una collezione di preziosi cimeli. E anche per questi suoi interessi, per la sua predisposizione nel prendersi cura con vari ruoli della comunità, oggi il Club alpino milanese non può che annoverarlo tra i suoi benemeriti.
Abissinia, l’esplorazione che diventò colonialismo
All’epoca di Vigoni avventurarsi nel Continente Nero era impresa che richiedeva entusiasmo e fisico ben temprato. Le madri vedevano con terrore i figli salpare per terre lontane o avviarsi sui sentieri di montagna. E Vigoni era particolarmente affezionato a sua madre. “Credi che ad ogni passo che mossi”, scrisse in un angolino del suo libro sull’Abissinia, “il mio cuore era con te, e con me era la tua santa immagine, e questo ti sia di conforto alle lunghe ore d’angoscia passate nella mia assenza”.
In quello scorcio finale dell’Ottocento, gli interessi italiani verso il continente africano erano prevalentemente commerciali tendendo alla ricerca di nuovi mercati. Tutto avveniva in modo apparentemente pacifico. Esemplare viene in tal senso giudicata l’esperienza di Vigoni che era impegnato con la Società di Esplorazione Commerciale in Africa con sede a Milano di cui fu presidente.
Vigoni stesso si rese però conto – e non avrebbe potuto fare altrimenti – che l’Africa rappresentava una polveriera pronta a esplodere. Nel 1885 il Continente Nero si preparava per le giovani generazioni italiane. D’accordo con il governo inglese, l’Italia fece sapere che intendeva occupare tutta la spiaggia da Assab fino a Massaua. Il Mar Rosso era considerato la chiave del Mediterraneo e il Governo italiano ribadì che avrebbe rispettato lo status quo ma fino a un certo punto. “L’Italia”, si legge sui giornali dell’epoca”, “non dorme né pensa solo ai guadagni materiali”.
Va notato che le mire coloniali europee in Africa portarono alla spartizione dei territori con la Conferenza di Berlino (1884-1885) dando il via a una fase di occupazione questa volta tutt’altro che pacifica dell’entroterra africano. Gli oggetti esposti al Mudec – di produzione sia africana sia europea – illustrano in modo eloquente questa storia fatta di scontri e di appropriazioni.
Nel nuovo contesto di espansione con le armi in pugno gli interessi italiani nei confronti dell’Adrica non furono soltanto di matrice culturale come gli scritti di Vigoni lasciano credere. Erano rivolti piuttosto verso forme di occupazione militare, preludi del colonialismo di matrice fascista concentrato sulla conquista definitiva della Libia e dell’Eritrea.
Pippo Vigoni e il Club Alpino Italiano
Nella sua presidenza del Club Alpino Italiano, Vigoni fece del suo meglio per dimostrare “i seri rapporti dell’alpinismo con le arti e con le scienze, la sua pratica utilità, il suo intimo legame, anzi l’assistenza prestata alla mineralogia, alla geologia e in special modo alla meteorologia che in Italia crebbe quasi sorella al Club alpino”. Personalità vivacissima lo definisce Lorenzo Revojera nel libro “Milano e le sue montagne” dato alle stampe nel 2002 Anno delle Montagne. Vigoni fu il primo dei presidenti milanesi del Cai amanti dell’avventura.
Diventò consigliere del Governo per le questioni coloniali e a ventun anni già girava il mondo. Dopo essersi laureato in ingegneria presso l’Università di Bologna volle assistere all’inaugurazione del Canale di Suez. Poi andò in Medio Oriente, in America Latina, in California, in Canada, in Russia, in India e nel 1878 come si è visto esplorò l’Abissinia. Di Vigoni nel libro di Revojera si legge che esercitò l’alpinismo “con spirito innovatore” e che nel Cai di Milano promosse la costruzione dei primi rifugi e l’ampliamento del Club alle fasce giovanili. Insomma fu un personaggio di spicco che onora la storia del Club Alpino Italiano e vale la pena qui di ricordarlo se già non lo si è fatto in questo 2014, a centodieci anni dalla morte.
Roberto Serafin
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