Il giornale radio è incorso tempo fa in un grossolano errore parlando di salita a corda doppia. Un incidente del tutto perdonabile tuttavia per chi non ha dimestichezza con l’alpinismo e la montagna. Tuttavia è un buono spunto per Serafin per riflettere su come ci sarebbe un gran bisogno di raccontare, non solo l’alpinismo, ma la montagna in genere, con competenza. C’è chi lo fa, ma non riesce a raggiungere il pubblico ampio dei media generalisti dove la montagna fatica ad essere (salvo rare eccezioni) ben raccontata fin dai tempi di Quintino Sella.

Gemini Generated Image wr6t7gwr6t7gwr6t Montagna: problemi di comunicazione

La salita diventò a corda doppia

Nel giornale radio del 4 novembre di primo mattino la salita diventò a corda doppia. Le vittime di un incidente, venne precisato, stavano salendo (sic) a corda doppia. Ci sarebbe da sorridere per questa definizione avventata se non fosse che la notizia riguardava la morte sulle Alpi di quattro alpinisti. Un lapsus evidentemente, complice la fretta, cattiva compagna nel lavoro di redazione. Che si sappia a corda doppia in alpinismo c’è solo la discesa. Ma non può saperlo chi non ha dimestichezza con l’alpinismo. Qualcuno ha mai visto un alpinista che risale una parete a corda doppia? 

Capita di frequente che il giornalismo manifesti approssimazioni quando si tratta di montagna e di alpinismo, attività poco praticate e conosciute anche se l’Italia è un paese sicuramente montuoso. 

È una secolare faccenda d’incomprensioni quella che divide e talvolta contrappone la montagna e il giornalismo. Di “giornali male informati” si occupò addirittura nel 1885 la Rivista del Club alpino nell’impeto missionario instaurato dal fondatore Quintino Sella. È noto nondimeno che nel 1863 l’illustre statista fondò il Cai anche nella prospettiva di scendere in campo con uomini e mezzi appropriati nel settore delle pubblicazioni “alpine” strappando la leadership alle agguerrite riviste specializzate d’Oltremanica. 

Sull’incompetenza alpestre dimostrata nelle redazioni dei giornali cosiddetti generalisti usò parole sferzanti nel 2011 durante un convegno al Palamonti il professor Franco Brevini, all’epoca collaboratore del Corriere della Sera. Raccontò tra l’altro che una scena muta fece un suo collega quando gli si chiese il significato del termine “seracco”. Oggi non è più così. Chi nelle redazioni pensa di non saperne abbastanza di alpinismo e di montagna può chiarirsi le idee navigando sul web le rare volte che affronta l’argomento. 

“Non dimentichiamo, a nostra parziale giustificazione”, spiegò in una relazione il presidente generale del Cai Annibale Salsa, “che in Italia la montagna non fa notizia se non in presenza di incidenti alpinistici, scialpinistici, escursionistici, speleologici o in presenza di catastrofi ambientali e climatiche”. D’accordo, soltanto il calcio e il tennis (grazie all’indomabile Yannick Sinner) e un poco anche il ciclismo sono sotto i riflettori dei media “generalisti”. 

La montagna deve essere raccontata per essere conosciuta

In realtà la montagna è un luogo lontano e nascosto e l’alpinismo un’attività invisibile che per essere conosciuta dev’essere “raccontata”. Invece spiace constatare che di alpinismo si racconta sempre meno sui giornali generalisti cartacei dove un tempo il compito di seguire l’argomento era affidato a redattori specializzati che risultavano anche titolari di rubriche ad hoc. Le pagine del Corriere della Sera ospitavano d’abitudine le appassionanti cronache alpinistiche del già citato Brevini alpinista provetto e professore di Letteratura italiana all’Università di Bergamo e allo Iulm di Milano.

Sempre sul quotidiano di via Solferino di montagna ora si occupa saltuariamente Lorenzo Cremonesi quando non indossa l’elmetto come inviato speciale sul fronte di qualche conflitto armato. Sulla Stampa compaiono altrettanto saltuariamente firme prestigiose come quelle di Enrico Camanni e Marco Albino Ferrari mentre il bravo  Enrico Martinet si è trasferito nelle pagine web della Valle d’Aosta. Quanto alla “rosea” Gazzetta dello Sport da tempo è orfana della rubrica alpinistica di Sandro Filippini che in compenso fa sentire la sua voce autorevole sui social. Firma che racconta abitualmente di montagna sui quotidiani, e risulta conosciuta da un pubblico non solo di addetti ai lavori, è sicuramente quella di Paolo Cognetti.

Si potrebbe continuare, ma è un dato di fatto che sulle cronache legate all’ambiente alpino da qualche tempo i giornali generalisti hanno abbassato la saracinesca. E c’è un problema non trascurabile. Luca Mercalli, divulgatore scientifico e climatologo di fama, è il benvenuto su tutte le prime pagine in caso si alluvioni e ondate di calore. Ma da sempre ha a che fare sul web con persone che propagano fake news sul clima (c’è perfino chi sostiene che bastava pulire i tombini per evitare le ultime alluvioni avvenute in Italia).

Cordata della stampa Montagna: problemi di comunicazione
Salita inaugurale di quella che fu l’Associazione Italiana dei giornalisti della montagna

Il vero problema (e obiettivo): raggiungere un pubblico ampio con competenza

All’inizio di questo millennio, per concludere, si tentò di qualificare meglio la figura del giornalista che si occupa di montagna. Nell’ambito e nella disciplina della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) si costituì l’Associazione italiana dei giornalisti della montagna (Agim) quale gruppo di specializzazione secondo le norme previste dallo statuto della Federazione.  Poi l’alpinismo con le sue “voci” e i suoi volti dilagò in rete e l’Agim si fece da parte.

Siti adeguatamente documentati e strutturati come (per fare alcuni esempi) Dislivelli, Gogna blog, L’Altra Montagna, Altitudini, Montagna Tv, Mountain Blog, ovviamente Lo scarpone e quello che state leggendo hanno però un limite: sono cioè rivolti principalmente a chi di montagna e turismo alpino e problematiche d’alta quota già si interessa. Nonostante gli sforzi di alcuni di essi ad agganciare un pubblico più ampio.

Chissà infine se l’associazione dei giornalisti di montagna è riuscita a diradare le nebbie che gravano da sempre su questa categoria di professionisti. Ai tempi di Mussolini, il presidente generale del Cai Angelo Manaresi invitò i giornalisti “a non infangare il campo alpinistico. E a non seminare il veleno della discordia, del pettegolezzo, delle parole cattive. E a non offrire spazio al ‘padreternismo’ di attori o di esaltatori, al ‘beghismo’ regionalistico e di categoria. Un male che affiora in basso, nebbia che stagna: può nascondere la valle ma non attinge le alte cime”. Meno male che, salvo errori, di “padreternismo” alpino sembra scomparsa ogni traccia.

Roberto Serafin

20 Novembre 2024
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