Nel 1953 il K2 sfuggì al medico alpinista americano Charles Houston per essersi preso cura, durante la scalata, di un compagno in pericolo di vita. Si demoralizzò per il successo mancato, ma un anno dopo fu tra i primi a complimentarsi con gli italiani saliti lassù. Oggi, a settant’anni di distanza, Houston ci lascia una lezione di cui fare tesoro

Charles Houston spd. Usa al K2 del 1953 copia 2 La lezione di Charles Houston che (quasi) precedette gli Italiani sul K2
Houston brinda in occasione della festa per il 50° della salita italiana al K2 (foto R. Serafin)

La rinuncia di Charles Houston al K2

La montagna unisce, ma anche divide. Fissare regole non è semplice, ma qualche esempio vale la pena di farlo. In questo caso a dare il buon esempio è stato di sicuro un medico di New York entrato nell’Olimpo dei grandi (e benefici) scalatori. Peccato che non sia più tra noi, di gente come lui ci sarebbe un gran bisogno. Ma che ci volete fare, il dottor Charles Houston (1913-2009) ha lasciato comunque un gradevole ricordo della sua innata propensione alla solidarietà, all’amicizia, alla fratellanza. 

C’è da domandarsi che cosa avrebbero detto gli italiani se nel 1953 questo medico fosse riuscito a raggiungere per primo la vetta del K2 con una piccola spedizione lasciando a bocca asciutta gli uomini di Desio che già si preparavano alla gloriosa impresa dando fondo a cospicui finanziamenti. Era la seconda volta che Houston tentava il K2. La prima fu nel 1950, ma era solo una spedizione esplorativa. Il 10 agosto 1953, invece, con sette uomini arrivò in vista della vetta. La squadra era composta da Bob BatesPete SchoeningArthur GilkeyGeorge BellTony StreatherDee MolenaarBob Craig, tutti alpinisti molto preparati. 

Gli otto impegnati nella salita si resero conto che ben presto sarebbero saliti in cima, primi uomini nella storia. Grande era la loro sete di successo in questa corsa alla vetta che anticipò la spedizione italiana del 1954. A malincuore gli uomini di Houston che guidava la spedizione furono però costretti a rinunciare a quell’ultimo balzo verso la gloria. Un problema si era presentato e ben più importante. Si trattava di portare in salvo il compagno Arthur Karr Gilkey, o almeno di fare un tentativo per salvarlo, impresa davvero improba a quelle quote. Una tromboflebite e un probabile edema polmonare lo aveva colpito a quota 7800 metri sullo Sperone Abruzzi. 

Tutti furono concordi sulla rinuncia alla vetta. Durante la discesa tuttavia il destino si rivelò più avverso del previsto. Stavano cercando un posto tranquillo per fare una sosta quando Arthurbloccato su una barella, fu spazzato via da una valanga. Il team impiegò cinque giorni per raggiungere il campo base. Riuscirono a portare a termine la discesa senza altri incidenti ma il merito fu anche della sollecitudine con cui si preoccuparono l’uno dell’altro

Il 15 agosto, quando arrivarono al campo, erano tutti demoralizzati, schiacciati dal peso della sconfitta e soprattutto, dal dolore per la perdita del compagno.  Sulle circostanze della morte di Gilkey si aprì un’ipotesi un po’ stravagante. Tom Hornbein e altri suggerirono che, rendendosi conto che il suo salvataggio stava mettendo in pericolo la vita degli altri, Gilkey avesse scelto deliberatamente di scivolare giù per il pendio. 

L’alpinismo etico di Charles Houston: in montagna come fratelli

Nonostante il trauma, Houston chiese il permesso di guidare una nuova spedizione nel 1954 alla quale rinunciò. Fu estremamente deluso nell’apprendere che la spedizione italiana era riuscita a salire con successo in vetta il 31 luglio 1954 e che ormai il K2 poteva considerarsi conquistato. Ma poi fu prodigo di elogi agli italiani in una lettera scritta al ritorno dei reduci a Genova. Con Desio non ebbe del resto problemi nell’offrirgli informazioni che si sono rivelate preziose. Ottenne comunque il permesso di salita alla montagna degli italiani per il 1955, ma preferì abbandonare l’alpinismo per concentrarsi sulla ricerca nella medicina d’alta quota

Un resoconto della spedizione del 1953 fu da lui scritto a quattro mani con Bates e pubblicato nel 1954 con il titolo “K2 – The Savage Mountain”. “Ci siamo avvicinati alla montagna come estranei, ma l’abbiamo lasciata come fratelli”, notò Houston in quelle pagine. Su una piccola cengia sopra il campo base, gli hunza costruirono intanto un tumulo di pietre in memoria di Gilkey.

Houston con lombrello e Messner La lezione di Charles Houston che (quasi) precedette gli Italiani sul K2
Houston riceve sotto lo sguardo di Messner l’ombrello dimenticate durante la spedizione al k2 del 1953. (foto archivio Trento Film Festival)

Le celebrazioni degli italiani e l’ombrello di Houston

Nel 2004, cinquantesimo anniversario della salita italiana al K2, Houston ormai anziano e provato da un ictus accettò di partecipare ai festeggiamenti a Trento, invitato dal festival della montagna. Di anni ne aveva compiuti novantacinque. Rievocò, con il quasi coetaneo Achille Compagnoni, l’epopea dell’ascensione italiana brindando simpaticamente con i reduci della spedizione. Fu una cerimonia in stile alpino, con tanti abbracci e un brindisi con bicchierini di plastica come si vede in una delle fotografie qui pubblicate scattate da chi scrive queste note. Fu come un raggio di sole il soggiorno trentino di Houston per un’impresa su cui gli italiani avevano sparso non pochi veleni. 

Particolare curioso. Nell’occasione Houston ringraziò Compagnoni per avergli riportato un ombrello lasciato sulle pendici del K2 nel 1953. Com’è piccolo il mondo!  La sconfitta non impedì che Houston diventasse un eroe per l’etica che ha contraddistinto il suo alpinismo.

Come medico studiò il mal di montagna e fu l’artefice dell’Operazione Everest, ascensione simulata in camera ipobarica alla vetta più alta del mondo con numerosi test e la raccolta di dati preziosi per la comprensione delle reazioni dell’organismo umano all’alta quota. Grande divulgatore scientifico, scrisse “Going high” poi aggiornato in  “Going higher”, pietre miliari della letteratura di medicina di montagna. Ma soprattutto Houston resta un simbolo della montagna che affratella e ci lascia una lezione di cui fare tesoro.

Roberto Serafin

29 Maggio 2024
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