Si parla sempre più spesso di turismo lento, mobilità dolce… ma ci si crede davvero o sono solo parole? È davvero possibile rallentare in una società tutta importata alla velocità e alla competizione? Roberto Serafin fa emergere i contrasti che da un po’ viviamo, dalla vita di tutti i giorni alle proposte turistiche. (…e ritornano in mente le profetiche parole di Alexander Langer: “Lentius, profundius, suavius”)

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Turismo lento?

Ha ragione Altan toccando un tema serio in una delle sue deliziose vignette il 9 febbraio sul Venerdì di Repubblica. Perché non mettere un limite dei 30 all’ora all’umanità? Se Bologna è da qualche tempo la prima città italiana completamente “zona 30”, ovvero con un limite di velocità per i veicoli di 30 chilometri all’ora, non si vede perché non accettare il concetto che il mondo cambia e si evolve mutando le geometrie degli spazi. E che occorre intervenire per assecondare questa evoluzione e non per contrastarla. Non solo nelle città ambiente, mobilità, economia, benessere, socialità e salute sono in realtà interconnese tra loro o si vorrebbe che lo fossero. Per capirsi, l’Italia secondo una ricerca TCI/ENIT sarebbe la prima destinazione in cui inglesi, tedeschi e francesi vorrebbero trascorrere una vacanza slow

Questa sempre più diffusa richiesta di pace e silenzio non vi sembra in netto contrasto con gli aspetti adrenalinici con cui si svolgono le vacanze e con cui viene promosso il turismo? Un esempio s’impone. Bici e sostenibilità dovrebbe essere un binomio che via via si concretizza nelle strategie. E invece sempre più le bici sfrecciano su sentieri impervi con il corollario di costituire una seccatura per chi desidera camminare in pace, ma anche una fioritura d’incidenti il cui costo sociale non è irrilevante. 

Sfrecciano a velocità insostenibile anche gli sciatori su piste di neve artificiale lisce e scorrevoli, inviti perentori a zigzagare a rotta di collo tra una seggiovia e l’altra. E sfrecciano sempre più numerosi i centauri sulle strade dei passi delle Dolomiti già assediate nella buona stagione da una marea di macchine. Secondo Reinhold Messner i passi si dovrebbero chiudere al traffico privato, ma sono trascorsi più di vent’anni da quando questo suo proposito è stato enunciato e condiviso da autorevoli personaggi quali Mario Rigoni Stern. Così nelle nostre meravigliose vallate la velocità si impadronisce di nuovi progetti e presto a Cortina torneranno a sfrecciare i bob sulla pista costata più di cento milioni di euro

Ferrovie da ripristinare o riconvertire

Unica consolazione. Dopo una ventina d’anni si torna a parlare di “mobilità dolce” con l’invito a riutilizzare a scopo turistico certe pittoresche ferrovie dismesse. Un invito che risale ai tempi in cui a farsi paladino di tale progetto fu il già citato grande scrittore Mario Rigoni Stern.

La notizia non può passare inosservata. Le strade ferrate dismesse, lo dice in questi giorni anche il quotidiano La Stampa, possono essere tranquillamente riutilizzate. La costellazione di tali percorsi arrugginiti è particolarmente ricca e disponibile per un turismo slow. Sono 1700 le stazioni e i caselli ferroviari da rivitalizzare. Allegria. Ma dov’è la novità? A partire dagli anni ’40-50, lo sviluppo dell’industria automobilistica ha portato alla dismissione di migliaia di chilometri di linee ferroviarie. Si tratta di un patrimonio importante cui si aggiungono i tratti di linee attive abbandonati in seguito alla realizzazione di varianti di tracciato. Si tratta di un patrimonio fatto di sedimi continui che si snodano nel territorio e collegano città, borghi e villaggi rurali. Occorre prendere atto che ponti, viadotti, gallerie, stazioni e caselli sono spesso di pregevole fattura e collocati in posizioni strategiche. Peccato che giacciano per gran parte abbandonati in balia dei vandali o della natura che piano piano se ne riappropria. Eppure fin dall’altro millennio ci si è accorti che questo patrimonio va tutelato e salvato nella sua integrità, trasformandolo in percorsi verdi per la riscoperta e la valorizzazione del territorio o ripristinando il servizio ferroviario con connotati diversi e più legati ad una fruizione ambientale e dei luoghi.

CO MO DO Sfrecciare o rallentare? La mobilità dolce nella società della velocità
Una vecchia locandina della Conferenza per la Mobilità Dolce

Più di 20 anni fa anche il CAI parlava già di mobilità dolce

Tornando ai trenta all’ora imposti o da imporre in città, più che mai si avverte la necessità di fuggire dalla trappola della velocità. Che sia finalmente giunto il momento di contrapporre all’odierna frustrazione del mordi e fuggi, della miseria del fast food, delle nevrosi e delle malattie indotte da ritmi di vita troppo accelerati, una visione più pacata e a misura d’uomo delle attività del tempo libero? 

Ma quando mai alle parole seguono i fatti? Correva l’anno 2003 e il Club Alpino Italiano già allora si produsse in un’infinità di proposte escursionistiche basate sulla moderna cultura del camminare per conoscere, per scoprire, per tutelare la natura e i valori dell’uomo. 

Una di queste proposte trovò applicazione nel progetto della cosiddetta “mobilità dolce”, rispettosa dell’ambiente, sullo sfondo di vie verdi, sentieri di grande percorrenza o tematici, ferrovie turistiche, ippovie. Si diede vita alla Confederazione Mobilità Dolce, in sintesi CoMoDo. Che non venne ritenuta soltanto un’elegante etichetta inventata da abili strateghi del marketing, ma un prezioso tavolo di lavoro dove fare incontrare diverse filosofie accomunate dalla ricerca di una ritrovata lentezza.

Il Club Alpino Italiano, in qualità di autorevole “socio fondatore” della confederazione costituitasi a Verona il 4 luglio di quell’anno, fu in prima linea con i suoi esperti, e fitto fu il dialogo tra i rappresentanti delle associazioni ambientaliste e degli appassionati dell’escursionismo, della bicicletta, dell’equitazione. Ma erano solo parole, parole, parole e nient’altro come cantava Mina. D’acordo, l’impresa non era semplice per la molteplicità degli interessi in gioco, come evidenziò Albano Marcarini, urbanista, giornalista e scrittore, autore di volumi sulla “dolce” arte del camminare e del pedalare negli angoli più sconosciuti del Bel Paese.

Alla fine si sfreccerà ancora… a caro prezzo

Una ventina d’anni sono trascorsi e l’attenzione è ora tutta concentrata sui bob in procinto di sfrecciare a caro prezzo per il contribuente sulla rinnovata pista olimpica di Cortina e con una vergognosa distruzione di bellissimi larici. Che tanto prima o poi dovrebbero ricrescere.  

Roberto Serafin

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22 Febbraio 2024
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MountCity

MountCity è un progetto fondato nel 2013 a Milano che si poggia sulla passione e competenza di uno staff di cittadini appassionati di montagna, all’occorrenza con il sostegno di associazioni di volontariato. La piattaforma, grazie alla competenza e professionalità di Roberto Serafin che l’ha curata per 10 anni, è stata punto di riferimento sull’attualità della montagna e dell’outdoor con migliaia di articoli pubblicati. Ora lo spirito di MountCity vive ancora dentro questa rubrica.

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