Una lunga traversata nelle Prealpi Lombarde ripetuta dopo una quarantina d’anni ci racconta come il piacere del camminare si possa trasmettere di generazione in generazione assaporando le stesse meraviglie pur facendo i conti con un clima che cambia. Scenario è il Triangolo Lariano con il monte San Primo minacciato dai progetti di un assurdo “restauro” degli obsoleti impianti di sci. Nonno Roberto aspettando all’arrivo della pedestre traversata figlio e nipote, non può non riflettere su quanta bellezza ancora ci sia e su quanto rischi di essere minacciata da scelte scellerate.
Quella memorabile camminata da Brunate a Magreglio…
Doveva essere di domenica, forse una domenica dell’autunno 1984 e chi se ne ricorda più? Insomma, dev’essere trascorsa una quarantina d’anni, il tempo di una generazione, da quando con mio figlio all’epoca adolescente, ho percorso il sentiero che svelava (e ancora le svela) le meraviglie del Triangolo Lariano. Ma certo, da Como in su si andava a piedi in una successione di panorami straordinari, in un susseguirsi di montarozzi e saliscendi come i quieti e invitanti Bollettone e Palanzone. Successivamente in quel tardo medioevo attraversai con la neve, ma in senso contrario, i dossi dalla Colma di Sormano dove mi ero fatto scarrozzare in auto da mia moglie. La meta era Brunate. Qui giunto raccattai gli sci e mi infilai di corsa in una carrozza della funicolare che scendeva a Como. Se ricordo bene, ce la feci un attimo prima che partisse l’ultima corsa. La sera ero a tavola con i miei davanti a un appetitoso risotto.
Tornando alla mia esperienza pedibus calcantibus insieme a mio figlio primogenito, quella volta partimmo da Brunate con panini e borracce e ce la facemmo a piedi per sei o sette ore. In vista di Bellagio, la perla del Lario che separa i due rami del Lago di Como, c’infilammo in un sentiero che scendeva a Piano Rancio e in un’oretta abbondante suonammo al cancello dei Podestà, tra i castagneti di Magreglio, nella cui villa ci accolsero con un’abbondante merenda.
Il fascino di ripercorrere la traversata una generazione dopo
Insomma fu una cavalcata memorabile, fatta in scarpe da tennis, in quella stagione della vita in cui c’è ancora tanto da scoprire a piedi e con gli sci. Quando sui sentieri non circolavano ancora le mountain bike (e a dire il vero non è che se ne sentisse la necessità). Talmente memorabile fu quella camminata che nella torrida estate del 2024, incurante dell’Anticiclone africano, mio figlio ha voluto ripetere l’esperienza. E questa volta non più con suo padre ormai decrepito, bensì con il suo figlioletto adolescente, uno dei miei nipoti che hanno tutti quanti ereditato il vizio di camminare. Anche se non c’è niente di particolare da conquistare in questo genere di traversate, il compierle può essere una buona occasione per tornare a percorrere certi affascinanti sentieri sedimentati nella memoria.
Riflessioni dal Triangolo Lariano 40 anni dopo
Così, mentre tra i castagneti di Magreglio, dove per la circostanza ero salito in macchina, attendevo l’arrivo dei due intrepidi camminatori, mi sono chiesto che cosa in particolare poteva avere indotto mio figlio a ripetere dopo tanti anni quella faticosa esperienza. Niente di eccezionale, d’accordo, dal punto di vista atletico / sportivo. Ma il piacere di camminare dev’essere stato lo stesso di tanti anni prima.
Nel tempo qualche vantaggio si manifestava rispetto a quegli anni ottanta, quando l’outodoor iniziava a farsi strada con le domenicali sfilate per chilometri e chilometri dei “tapasciun”, ovvero dei marciacontinui premiati all’arrivo con medagliette e bottiglie di vino. Chi si sarebbe potuto immaginare a quei tempi che grazie a un telefonino chiamato anche cellulare, i marciacontinui avrebbero potuto trasmettere in ogni momento al parentado rimasto a casa la propria posizione in modo che ci fosse tutto il tempo di buttare la pasta? E può ritenersi cambiato il meraviglioso Triangolo Lariano rispetto ai tempi in cui il riscaldamento non era ancora diventato globale? Forse che qualcosa di nuovo si osserva in questo ambiente prealpino in continua evoluzione come dappertutto, a cominciare dalla contrazione delle calotte polari?
Ma no, tranquilli, il Triangolo Lariano continua a offrire alla vista, intatte, le sue faggete e in primavera si copre di narcisi come ai tempi in cui quelli del Club Alpino Operaio di Como salivano a farne man bassa. Importante è che le ruspe non salgano a fare guasti in nome di un’annunciata valorizzazione delle ormai defunte piste di sci.
Ah si, ribadisco che qualche novità rende ora più tollerabile la fatica del marciacontinuo. Le borracce non sono più quelle degli alpini racchiuse in una custodia di panno per mantenersi fresche. Oggi le variopinte borracce termiche offrono un decisivo comfort in quelle distese del Triangolo Lariano in cui la natura, per quanto generosa nell’elargire panorami di classe, continua a negare fontanelle di ogni genere. Di ruscelli e specchi d’acqua, a parte qualche “bola” destinata al bestiame, neanche parlarne anche se i profeti di un nuovo comprensorio sciistico parlano già di bacini idrici per la neve artificiale.
Mentre ero immerso in queste considerazioni, quei due stavano scendendo a valle. Ancora negli occhi avevano quel mondo pastorale d’altri tempi. Qua e là di sicuro al loro passaggio avranno pascolato come sempre mandrie di vacche e cavalli bradi. Sapevo che, nei pressi della Colma di Sormano, i due sarebbero transitati davanti ai resti arrugginiti di uno skilift. Lassù l’emergenza climatica si era fatta sentire addirittura in anticipo sui tempi. Come se una gigantesca scopa avesse fatto piazza pulita di quegli ormai inutili e impraticabili trastulli sciistici oggi ridotti a ruderi che nessun sindaco si degna di rimuovere, impegnato in faraonici e insensati progetti di una nuova sciabilità. E come se la totale assenza di neve a quelle quote nelle ultime stagioni non condannasse qualsiasi tentativo di restauro.
“Siamo qui sopra nella faggeta appena sotto i pascoli…ancora tre quarti d’ora e arriviamo”, mi annunciarono a un certo punto i due tramite WhatsApp. Io avevo una dannata fretta di riabbracciare quei due emuli delle mie bravate e ogni lieve muoversi delle fronde ai margini del bosco mi sembrava che potesse annunciarli. Ero sicuro che quella camminata mi sarebbe stata dedicata, e così è stato.
Forse un giorno capiterà anche ai figli di mio nipote di andarsene a piedi con il genitore su quegli splendidi sentieri. Una vecchia tradizione di famiglia. Sono sicuro che il Triangolo Lariano con le sue meraviglie e a dispetto del cambiamento climatico sarà ancora pronto ad accoglierli e a entusiasmarli. Sempre che il paesaggio non venga sfigurato come sembra da nuove installazioni sulla spinta di un turismo che sempre più è destinato a diventare un “overturismo”.
Roberto Serafin
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D’accordo con Serafin