Il nuovo libro di Enrico Camanni, “Se non dovessi tornare. La vita bruciata di Gary Hemming alpinista fragile” sonda e racconta in particolare gli ultimi anni della vita del tormentato eroe del Dru, quelli meno noti.
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Gary Hemming, una vita da romanzo
Conciliare l’alpinismo con la vita privata, mettere le scalate estreme al passo con i sentimenti non è affare che accomuni tutti i grandi alpinisti. A maggior ragione se nel loro alpinismo si annida un seme di rivolta. È il caso di Gary Hemming (1934-1969), “figlio dei fiori” nell’America sconvolta dalla guerra in Vietnam e dalle rivolte infuocate dei cittadini di colore.
A ben riflettere non è un caso se da più di mezzo secolo la romanzesca vita di Hemming continua ad attrarre gli scrittori. A dimostrarlo è la recentissima uscita del libro ”Se non dovessi tornare. La vita bruciata di Gary Hemming alpinista fragile” (Strade Blu Mondadori, 285 pagine,19 euro) in cui Enrico Camanni offre il meglio di sé dopo alcune fruttuose incursioni nel genere noir.
“Un amico fragile e generoso, dolce e maledetto, segreto come un frutto non colto”, viene definito Hemming da Camanni, sottolineando che già nel 1988 in un inserto di “Alp” sul Sessantotto dell’alpinismo si era tolto la soddisfazione di raccontare di questo americano “bello e rattoppato con i polpacci nudi e i pantaloni alla zuava”. Ebbene si, era un bel tipo anzi un tipaccio quel Gary che si era distinto a Chamonix nel burrascoso salvataggio sul Dru di due ragazzi tedeschi. Ed erano tempi in cui “andare in montagna” era sinonimo di ribellione. Tempi ai quali chi ha passato la sessantina guarda oggi con una sorta di nostalgia, vero Camanni? Mentre, salvo errori, è difficile immaginare segni di rivolta nell’attuale alpinismo addomesticato, disperso in mille rivoli e specializzazioni, incapace di bucare gli schermi con vite e imprese al limite.
Il personaggio è talmente interessante che questo “biopic” su Hemming è stato preceduto sugli scaffali nel 1991 da un libro della collana dei Licheni (“Gary Hemming, una storia degli anni 60”, L’Arciere / Vivalda) con cui Mirella Tenderini aveva voluto alzare il sipario sui misteri di cui Hemming si era circondato. L’alpinista americano a un certo punto aveva deciso infatti di non parlare più ad alcuno delle sue salite né di scrivere relazioni. Quale miglior motivo per indagare sulle ragioni profonde (e sentimentali, a quanto pare) di questo comportamento?
“Mi interessava l’uomo, più che l’alpinista, e volevo raccontare esattamente gli ultimi tre anni, quelli meno noti, o addirittura ignoti, gli anni del passaggio dalla fama all’autodistruzione”, precisa in ogni modo Camanni dopo aver lodato la preziosa opera della Tenderini.
In entrambi i libri sono i rapporti umani di Hemming ad emergere insieme con il suo carisma di ribelle. Ma risulta chiaro che in Camanni si avverte fin dalla “vita bruciata” del titolo la tentazione di premere a fondo sul pedale del romanzesco. E molto teatrale, anche troppo, è la messa a fuoco dell’ultima notte di vita di Hemming a soli 35 anni sulle sponde di un lago. Desiderio di morte a parte, che cos’altro può averlo spinto al gesto estremo se non l’impossibilità di trovare un equilibrio duraturo nella vita?

Molti dubbi insoluti nella vita di Gary Hemming
In fondo è un destino quello di Hemming, che ha accomunato in quei tempi tanti giovani americani, come suggerisce Camanni, in anni di fantasia al potere e di speranze infrante. Quanto al talento alpinistico di Hemming i pareri risultano non del tutto chiariti. Innovatore Gary lo fu nel rapporto con l’ambiente. Ma il suo legame con le grandi stagioni di Yosemite risulta inesistente se non nella scelta ideologica di condividere gli “spartiti” dell’arrampicata “clean” con i pionieri della Golden Era come Royal Robbins, Warren Harding e Yvon Chouinard.
E poi condividere o no con Camanni l’idea che a distrarre il fragile Gary sia stato il Maggio e poi l’assassinio di Kennedy? Che abbiano fatto breccia nella sua innata sensibilità il dolore del mondo, il male e il marcio che si annidava alla Casa Bianca? Ed è il caso di ritenere, come fa l’autore, che sia stata la violenza del mondo a soffocare i suoi sogni, popolandoli di mostri senza volto?
Forse però, se non sbaglio, è stata la cultura hippie a inseguire quei sogni creando una controcultura, allargando ed esplorando artificiosamente lo stato di coscienza con l’uso di stupefacenti, e anche con l’aiuto delle suggestioni della country music di affollati festival canori come “Nashville”, puntualmente descritto nel capolavoro del regista Robert Altman.
Gary Hemming continuerà a far parlare (e scrivere) di sé
Non mi stupirei infine che una volta conclusa la lettura dell’appassionante libro di Camanni, la figura di Hemming si prestasse a rinnovate discussioni sulle sue scelte di vita. Che, come capita a chi si toglie la vita, restano insondabili.
Come si sa, tuttavia, le leggende non muoiono. E non è forse una leggenda quella del fragile e rattoppato alpinista Gary Hemming che Camanni ha sapientemente riesumato con la sua prosa elegante?
Roberto Serafin
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