Alpiniste e alpinisti che contano oggi ripudiano gli ottomila ritenuti fin troppo addomesticati. Dove si scala serviti e riveriti dagli Sherpa, sempre dotati delle immancabili bombole e con il tentativo di eliminare ogni incertezza. C’è però chi va alla ricerca, nella catena himalayana, dei “non ottomila” che ancora consentono “l’avventura pura, quella che contempla anche il fallimento” come ha piegato Nives Meroi.

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Cercando l’alpinismo

Ottomila? No grazie. C’è forse da stupirsi se questo atteggiamento contagia sempre più di frequente gli alpinisti che hanno contribuito con le loroimprese a scrivere la storia degli ottomila? Nel raccontare della sua recente spedizione a un settemila dell’Himalaya salito lungo una via inesplorata, Nives Meroi spiega di avere scelto con i suoi compagni uno di questi “non ottomila”. Spiegazione. Dopo averli domati in cordata con il suo invincibile marito Romano Benet, Nives è arrivata alla conclusione che salire su un Ottomila è agli antipodi dell’alpinismo che loro ricercano e prediligono. Un alpinismo, occorre spiegarlo?, fatto con le proprie forze, scevro da bombole di ossigeno, da portatori d’alta quota. E rigorosamente senza l’ausilio degli elicotteri sempre più numerosi nei cicli dell’Himalaya.

Casca a proposito una recente dichiarazione di Reinhold Messner. Ancora più categorica se possibile di quanto sentenzia Nives. “Sulle montagne dell’Europa, come in Himalaya e sulle Ande”, afferma il vecchio re degli ottomila, “l’alpinismo non c’è più. Il turismo l’ha sostituito”. 

Forse ce n’è abbastanza per tentare di capirne di più mettendo insieme le voci che circolano sul declino dell’alpinismo dove l’aria si fa sottile. Senza ovviamente esprimere sentenze, sempre nel rispetto delle opinioni di chi gli ottomila continua a “farli” con soddisfazione. Sempre cantando in coro con loro cercando di non stonare.

Ci soccorre anche una volta Nives Meroi, meritevole della massima stima e non certo perché sia io a dirlo. “Gli Ottomila”, spiega Nives, “sono diventati appannaggio delle spedizioni commerciali. Per usare un’immagine semplice è quasi come attendere in coda al banco dei salumi con il biglietto. Ecco allora spiegato perché gli alpinisti con esperienza che cercano l’avventura pura, quella che contempla anche il fallimento, si dirigono verso altre montagne”.

Dall’intervista pubblicata nelle colonne del Messaggero Veneto, emerge un’altra verità. Il vizio diffuso, quasi un malcostume, di addomesticare tutto con la tecnologia. Insomma, l’idea che con la tecnologia si possa risolvere qualunque situazione. “Con il percorso interamente preparato dagli sherpa e con le bombole di ossigeno da otto litri al minuto”, osserva la Meroi, “il risultato è di abbassare l’Everest”.

Ma se l’Everest si abbassa, non se ne eliminano i rischi. Quest’anno si sono registrati, solo sul tetto del mondo diciassette tra morti accertati e dispersi.  

Nives e Romano affettuosamente Esiste ancora l'alpinismo sugli 8000?
Nives Meroi e Romano Benet (foto R. Serafin)

Elicotteri: quanto e quando hanno senso?

Tornando agli elicotteri, negli ultimi anni in Nepal ne sono stati utilizzati parecchi per portare materiali ai campi alti. Soprattutto al campo 2 dell’Everest, in modo da ridurre il numero degli attraversamenti della temibile cascata di ghiaccio da parte degli Sherpa. 

Non è un mistero, volendo cercare negli archivi, che grazie agli elicotteri è stato trasportato in alta quota un importante rifornimento di materiali per le spedizioni che sull’Annapurna non avevano più modo di procedere nella salita. Ordinaria amministrazione o mancanza di una seria disciplina nell’uso delle pale?

E allora che cosa si fa, si aboliscono gli elicotteri? Risulta che se non fossero stati utilizzati per i soccorsi questa primavera sull’Everest si sarebbero registrate ben più del doppio delle già tante morti avvenute. “E poi”, interviene il fuoriclasse Nirmal “Nims” Purja, “come credete che siano state portate giù dall’Everest le tonnellate di rifiuti dai quali sono stati ripuliti i campi 2 e 3?” Peccato che il campo 4 sia ancora troppo alto per l’operatività degli elicotteri. È per questo motivo che il Colle Sud resta la più alta discarica della Terra

Si può facilmente intuire che sorvolare i monti con l’elicottero, accarezzare le vette con lo sguardo attraverso la corazza di plastica del cockpit deve rivestire un particolare fascino per chi fa dell’alpinismo, pardon, del turismo a quota ottomila. “Più si vola sopra le montagne“, sostiene un alpinista bergamasco che in Himalaya è di casa, “e più lo sguardo va a cercare linee, pareti e creste da scalare e percorrere”.

L’uccisione dell’incertezza

È certo che gli exploit odierni che (raramente) fanno notizia, non possono essere paragonati con quelli di Messner e degli altri che ai loro tempi non disponevano di elicotteri, di possibilità di soccorso ad alta quota e di una logistica che oggi è straordinaria. Vantaggi che, per dirla con Messner, “hanno ucciso l’incertezza che è l’essenza dell’avventura”.

Adesso è la caccia ai primati che conta, poi si vedrà. Su tutti i cacciatori di record svetta il citato Nirmal Purja. Suo è il record di velocità sui 14 “ottomila” della Terra che gli è valso gli elogi non così scontati di Messner. Qualche riserva a quanto si legge riguarda invece la norvegese Kristin Harila, 37 anni, che ha scalato l’Everest e il Lhotse in sole otto ore, completando sei vette di ottomila metri in meno di un mese. Tutto regolare? Una giornalista americana ha fatto notare che “Harila è partita con l’idea di non usare respiratori e bombole ma poi ci ha ripensato quando ha capito che era in ritardo sulla tabella di marcia”. 

Mingma Sherpa ha a sua volta pubblicato il video di un elicottero sul Manaslu, spiegando che a bordo c’era Kristin in volo verso i campi alti anziché impegnata nella scalata. “Mi sorprende che queste insinuazioni provengano da lui”, replica Kristin, “ho sempre condiviso la mia traccia GPS, in modo che si potesse vedere dove ho scalato e dove mi sono fermata. Ho avviato e fermato il mio tracker su ogni salita che ho fatto”.
E vabbe’, questa è l’aria che tira. Ma anche un non addetto ai lavori come il sottoscritto comprende che spedire gli Sherpa ai campi alti in elicottero, assieme a tutto il materiale necessario per il loro lavoro, è un metodo perlomeno discutibile di affrontare gli Ottomila. 

Senza regole, senza controlli questi giganti di ghiaccio finiscono per trasformarsi sempre più in luna park da cui fuggire inorriditi alla ricerca dei “non ottomila”. Dal canto suo Mingma, da quel professionista che è, non si scompone. La squadra di Elite Expeditions, l’agenzia da lui creata con Nirmal dopo il suo record di velocità sui 14 “ottomila” è una garanzia per raggiungere vette importanti con respiratori e bombole. “Oggi il mio ufficio è qui!”, sembra che abbia detto il 3 luglio raggiungendo la vetta, se non sbaglio, del Nanga Parbat. “Come sempre ho guidato la spedizione dalla testa, non dal campo-base. Ho condotto tutti sulla cima e li ho riportati sani e salvi al campo-base”, ha scritto sulla sua pagina Facebook. Non è questa la garanzia che conta a quelle quote?

Roberto Serafin

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13 Luglio 2023
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