Il 1° novembre è stata l’occasione per far visita con Teresio Valsesia al cimitero di Macugnaga e scoprire le storie di alpinisti rimasti imprigionati dal ghiacciaio e i cui corpi sono stati restituiti solo raramente e molti anni dopo.
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Il 1° novembre al cimitero di Macugnaga
Trovandosi a Macugnaga il 1°novembre come non visitare il famoso cimitero della Chiesa Vecchia in compagnia di Teresio Valsesia? L’amico Teresio è un illustre storico dell’alpinismo, autore di guide e saggi dedicati a queste vallate, a suo tempo sindaco di Macugnaga e vice presidente generale del Club Alpino Italiano. Curiosando qua e là al cospetto della parete est del Monte Rosa si scopre che diversi sono i sepolcri senza corpi, rimasti prigionieri dei “ghiacci eterni”. Negli epitaffi si legge che “Il Monte Rosa lo volle e tenne”, “Scomparso nel mistero del Rosa”, ”La Nordend ne custodisce fra i ghiacciai eterni i giovani corpi”.
Una montagna assassina? “Questo insulso attributo”, dice Teresio, “è usato solo nelle cronache delle tragedie recenti, soprattutto per i morti sotto le valanghe. In realtà, spesso, le cause vanno attribuite alle imprudenze commesse dalle stesse vittime”.
Imprigionati del ghiacciaio del Monte Rosa
Tragedie senza testimoni ce ne sono state tante. Gialli senza colpevoli. Il primo dramma misterioso avvenuto sulla Est del Rosa risale a oltre un secolo fa. Nel 1909 tre alpinisti milanesi svanirono nel nulla mentre compivano la salita della punta Nordend. Il 15 agosto salirono a dormire alla capanna Marinelli. Le guide locali li avevano avvertiti: “E’ la festa dell’Assunta, patrona di Macugnaga. Per antica tradizione non si va in montagna ma in processione”. I tre risposero con un sorriso. L’allarme verrà dato alcuni giorni dopo dai parenti, non vedendoli rientrare a casa. Le ricerche impegnarono le guide cui si unirono i soci del Cai Milano. Sulle dinamiche della sciagura ci furono solo vaghe supposizioni: una bufera, un fulmine. Di sicuro i tre finirono inghiottiti in uno dei profondi e insondabili crepacci”.
Nella storia del Rosa, solo in due occasioni il ghiacciaio è stato generoso e ha restituito i corpi. Il primo nel 1971, quando Luciano Bettineschi, guida di Macugnaga, trovò casualmente i resti di Casimiro Bich, guida di Valtournenche, scomparso nel 1935 sul colle Gnifetti, poco sotto la capanna Margherita. Guidando verso il rifugio un alpinista americano, Bich fu investito da una violenta bufera e finì nel baratro. Le ricerche furono vane. Rimarrà ibernato nel ghiaccio per 46 anni. Quando riemerse era uno scheletro, ma il distintivo di guida permise il riconoscimento.
Più complesso, racconta sempre Valsesia, il riconoscimento dello scheletro di Ettore Zapparoli, emerso dal ghiacciaio 56 anni dopo la scomparsa. Scrittore, musicista e accademico del Cai, grande amico di Dino Buzzati che nel cimitero di Macugnaga viene ricordato tra gli scrittori di montagna cosiddetti accademici, Zapparoli fu soprattutto un eccellente alpinista solitario, con importanti imprese sulla Est del Rosa e nelle Dolomiti. La parete di Macugnaga fu la sua tomba nel 1951. Venne ritrovato nel 2007 da un’escursionista di Macugnaga. In 56 anni le sue spoglie avevano compiuto oltre 6 chilometri prigioniere del ghiaccio e più di 2000 metri di dislivello. Particolare importante e di sicuro sconvolgente. L’individuazione dello scheletro fu possibile solo grazie al Dna utilizzando una minuscola porzione biologica del cadavere comparandola con il Dna di due suoi secondi cugini.
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