Pietro Giglio, presidente delle Guide Alpine Italiane, dopo una laurea in Scienze politiche si laurea nuovamente in Antropologia culturale ed etnografica. Al suo attivo molte attività alpinistiche, giornalistiche e il tentativo di avviare una riflessione sul rapporto dei media con la montagna…
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D’accordo, si vive solo due volte come recita il titolo di un film dell’agente 007. Per questo forse a Pietro Giglio una sola laurea non bastava. Così nel giro di cinque anni si è laureato due volte: la prima a settant’anni, nel 2014, in Scienze politiche e relazioni internazionali, e la seconda questa primavera in antropologia culturale ed etnografica. E’ però, o meglio lo è stato, uno studente decisamente sui generis Pietro Giglio, valdostano, che oggi a 76 anni se ne guarda bene dal tirare i remi in barca e godersi le sue montagne da semplice pensionato. Giornalista professionista, regista, documentarista, Giglio è anche presidente nazionale delle guide alpine.
Ma lui è fatto così. Come alpinista ha percorso i grandi raid di scialpinismo delle Alpi, delle isole del Mediterraneo, delle montagne della Turchia, dell’Islanda. Nella sua attività figurano vie nuove e prime salite invernali nelle Alpi valdostane e la salita della Lotus Flower Tower in Canada. Come giornalista è stato direttore di “Oasis”, della “Rivista della Montagna” e redattore del TGR della Valle d’Aosta. E’ stato soccorritore di elisoccorso con il Soccorso alpino valdostano e, per un mandato, presidente della Compagnie des guides de la Valpelline et du Grand Saint-Bernard.
L’altra volta come studente, a settant’anni compiuti, si inbarcò in una tesi sulle politiche di Quintino Sella per la montagna. Questa volta la sua tesi riguardava la “bataille de reines”, l’evento con cui nella Vallée si confrontano rudemente vacche di oltre 700 kg per contendersi il diritto di scegliersi l’erba migliore.
“Etnografia visiva di un rituale comunitario nelle Alpi occidentali” è il titolo della tesi. Due i professori relatori all’Università di Torino: Cecilia Pennacini e Paolo Viazzo, antropologo alpino. La tesi è nelle versioni scritta e filmata e il documentario sarà trasmesso in due puntate nell’ambito della programmazione di Rai3 Valle d’Aosta.

Un piccolo passo indietro nel tempo. Tra le temerarie scalate di Giglio andrebbe forse ricordato all’inizio di questo millennio il tentativo di nobilitare e di meglio qualificare la professione di giornalista contribuendo alla fondazione del gruppo di specializzazione dei “Giornalisti della montagna” supportato dalla Federazione Nazionale della Stampa. All’ordine del giorno dell’assemblea istitutiva nel 2001 – e presidente pro tempore venne nominato chi scrive queste note – a Cervinia vi fu un’analisi dei controversi rapporti tra la montagna e i grandi media seguita dall’annuncio delle iniziative in fase di progettazione: tra le quali un corso destinato agli operatori della comunicazione e un riconoscimento annuale riservato al migliore servizio giornalistico.
Venne organizzata in quel 2001 anche una cordata della stampa con la salita al Breithorn occidentale. Impresa perfettamente riuscita grazie alla splendida giornata di beau fix e all’accompagnamento delle guide alpine Alberto Re e Antonio Carrel e, di rincalzo, dello stesso Giglio a quell’epoca doveva “accontentarsi” di fare il giornalista. Peccato che l’avventura dei giornalisti della montagna si sia rivelata assai poco remunerativa per la scarsità di adesioni e la mancanza di risorse. Ma come si sa il problema di comunicare al grande pubblico la montagna e i suoi valori sembra tutt’altro che risolto anche oggi che tutto passa per il web, comprese queste innocenti chiacchierate. (Serafin)
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