In inverno, specie con poca neve, sui sentieri anche facili c’è un serio pericolo troppo spesso sottovalutato che può essere purtroppo fatale. Prima però andiamo a Fondo dove si svolge ormai da 47 anni la Ciaspolada, la più antica manifestazione per ciaspolatori, e poi a scoprire che le nostre montagne sono piene di scheletri abbandonati…
Ciaspolatori di città
Come passa il tempo. E’alla sua quarantasettesima edizione “La Ciaspolada” che il 5 gennaio 2020 porta migliaia di ciaspolatori a Fondo in Val di Non. E’ la stessa età della Marcialonga, la più importante e famosa competizione di sci di fondo in Italia che si disputa, sulle nevi delle Valli di Fiemme e Fassa, l’ultima domenica di gennaio. Ciaspole e sci sono due simpatici modi di sgambettare sulla neve. E di godere i silenzi, i grandi spazi imbiancati delle nostre vallate. Le poche volte, perlomeno, che sono imbiancati. Due filosofie, forse. Ho amato troppo lo sci di fondo per esprimere un giudizio equilibrato su queste due attività. Noto però un che di stonato nelle ciaspole quando vengono usate, come nel caso della Ciaspolada lungo un percorso interamente cittadino. Ma gli organizzatori questo offrono e con buone ragioni. Il percorso consente infatti da una parte di limitare la produzione di neve programmata, dall’altra di allestire una serie di stand negli angoli più caratteristici della borgata di Fondo per promuovere suoni e sapori del territorio. Difficile per me stabilire che cosa tutto ciò abbia a che fare con le ciaspole o racchette da neve, nate per avventurarsi nei paesaggi innevati, nel silenzio dei boschi…In base al regolamento, la partenza per la parte non competitiva è comunque fissata alle 16.30, mentre la gara vera e propria, quella riservata agli agonisti, prende il via alle 18.30. Gli atleti devono percorrere il circuito per sei volte, totalizzando così all’arrivo circa sette chilometri. Per maggiori info www.ciaspolada.it
Duecento scheletri nelle Alpi
C’è molto da fare sulle Alpi per smaltire relitti tutt’altro che biocompatibili di impianti di risalita dismessi. I francesi grazie a un’iniziativa di Mountain Wilderness stanno dando il buon esempio e la domenica la passano a raccattare carrucole e piattelli di skilift arrugginiti. E il nostro volontariato che fa? Possibile che nessuno tra i 325 mila soci del Cai si organizzi? Che dire della stazione d’arrivo dello skilift che da una trentina d’anni sconcia i verdi crinali che in Lombardia sovrastano il Pian del Tivano, nel Triangolo Lariano? Scheletri di funivie e skilift abbandonati si trovano dappertutto nelle Alpi. Leggo che sono 40 in Val d’Aosta, altrettanti in Piemonte, 35 in Veneto, 25 in Friuli, senza contare tutti i rottami lasciati arrugginire sugli Appennini, dalla Liguria alla Calabria. A mettere insieme tutti i censimenti degli impianti di risalita abbandonati, realizzati in questi anni da Mountain Wilderness, Lega Ambiente e Cipra (Commissione internazionale per la tutela delle Alpi) se ne possono contare addirittura duecento. Che vergogna.
Che cosa si aspetta allora per eliminare questi orrori? Se lo chiedeva MountCity il 23 ottobre 2015. Più di quattro anni sono trascorsi e di eliminare i rottami delle aree sciistiche dismesse non si parla. Qualcuno ne sa qualcosa di più? Né viene spiegato dalle istituzioni se, per evitare ulteriori danni, le nuove autorizzazioni e gli eventuali finanziamenti pubblici possono essere rilasciati soltanto dietro adeguate garanzie finanziarie in grado di assicurare il ripristino del sito una volta terminato lo sfruttamento degli impianti. Ma sarebbe, come si dice, troppa grazia…
L’assassino invisibile
Oltre a un surplus di morti per valanghe, l’inizio della stagione escursionistica invernale è stata purtroppo caratterizzata da una serie d’incidenti quasi tutti mortali dovuti al ghiaccio. Troppi, decisamente. Perché come avverte un rifugista abruzzese, non bastano i ramponi e le piccozze, d’inverno bisogna saper leggere sul terreno anche quello che a prima vista non si vede. È stato il ghiaccio invisibile sotto un sottile strato di neve a tradire prima di Natale due appassionati di montagna. Avrebbero dovuto effettuare la traversata delle tre cime del Corno Grande. I volontari del Soccorso alpino sono stati costretti a recuperare i loro corpi volati giù per 500 metri, rimbalzando orrendamente sulle rocce. In circostanze analoghe al Gran Sasso è morta anche una donna partita in solitaria la mattina di Natale per raggiungere il Corno Grande. Potrebbe anche nel suo caso averla tradita il ghiaccio o il verglas che ricopre invisibile pietre e placche di roccia sui sentieri. Un’insidia peculiare non del solo Appennino. Ricordo di aver raccolto a suo tempo in veste di giornalista dalla XIX Delegazione Lariana del CNSAS Lombardo un dettagliato resoconto di quanto di tremendo avvenne sui monti della Lombardia domenica 17 dicembre del 2000. C’erano condizioni ambientali molto simili a quelle di questi giorni sull’Appennino. Poca neve e molto ghiaccio. Il gelo era ritornato d’improvviso dopo alcuni giorni di scirocco trasformando i “facili” sentieri delle Prealpi in trappole mortali per gli escursionisti con o senza ramponi. L’elenco delle otto vittime stringe il cuore. Mi colpì il fatto che qualcuno pagò con la vita l’essersi affidato anziché alla piccozza, durante la salita al Grignone, ai bastoncini da trekking che lo fecero sbilanciare e non si prestarono a essere piantati nella neve ghiacciata per fare sicurezza. Ha ragione l’amico Luigi Zanetti. “Visto che la montagna d’inverno è più insidiosa che d’estate”, si chiede con buon senso Zanetti affrontando il problema nel sito MountCity, “l’inverno non potrebbe essere la stagione giusta per frequentare tutti quei sentieri di bassa quota dove è ancora possibile scoprire angoli incredibili azzerando o riducendo al minimo i rischi?”
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MountCity è un progetto fondato nel 2013 a Milano che si poggia sulla passione e competenza di uno staff di cittadini appassionati di montagna, all’occorrenza con il sostegno di associazioni di volontariato. La piattaforma è aperta a chiunque si offra di collaborare con la dovuta esperienza sui temi abitualmente trattati con un’attenzione particolare rivolta all’attualità della montagna e dell’outdoor.
Scheda partner
“Neve programmata”?
Rispettiamo la realtà dei fatti e il significato delle parole: si chiama “neve artificiale”. Rifiutiamo il linguaggio ipocrita adoperato dalle stazioni sciistiche. Grazie.
Fabio Bertoncelli
P.S. Auguri per il sito!
È vero: spesso dietro all’eufemismo “neve programmata” si vuole nascondere il concetto più scomodo di neve artificiale. Come darti torto. Devo dire che dal mio punto di vista però se è programmata non può essere naturale ed il problema è l’ostinazione di voler tenere in vita un tipo di turismo con spreco di ingenti risorse idriche, energetiche ed economiche che potrebbero meglio essere utilizzate in un ottica di sostenibilità economica per le nostre valli.
P.S. Grazie!