Medicina e passione per l’alpinismo: un connubio che ha molti rappresentati nella storia. Vittorio Ronchetti e Alberto Mantovani sono due esempi distanti nel tempo, ma accumunati dalla milanesità e…
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Vittorio Ronchetti e Alberto Mantovani luminari milanesi della medicina
Più di un secolo li separa, eppure un filo invisibile lega due luminari milanesi della medicina, il professor Vittorio Ronchetti (1874-1912), primario dell’Ospedale Maggiore, e il professor Alberto Mantovani, immunologo e oncologo, direttore scientifico di Humanitas Research Hospital di Rozzano (Milano).
Più che un filo, una robusta corda da arrampicata. Entrambi risultano appassionati di alpinismo anche se Ronchetti ha avuto più occasioni per coprirsi di gloria fra le cime. Fra il 1907 e il 1913 salì infatti più volte le vette del Caucaso.
Più sommessamente il professor Mantovani ha fatto sapere en passant di questa sua passione nel corso di un’intervista. Non è però escluso che corde e piccozze siano attualmente incompatibili con i severi impegni legati al suo ruolo di capocordata (non è il solo…) in questa scalata dell’umanità verso l’auspicabile fine della pandemia. Era il 2016 quando il supplemento letterario “Robinson” del quotidiano La Repubblica dedicò al professor Mantovani, padre di quattro figli, tifoso dell’Inter, oggi settantaduenne, un paio di pagine curate da Antonio Gnoli e corredate da un bel ritratto di Riccardo Magrelli.
Alpinismo e medicina come la vita
“Ancora oggi”, raccontò in quell’occasione Mantovani, “faccio scalate con un amico, una guida sicura”. Alla domanda dell’intervistatore se si ritenesse un bravo alpinista, il professore smorzò tuttavia i toni con lo stile che gli è peculiare come si denota nei suoi non infrequenti interventi ai talk show dove è chiamato a esprimersi sulla situazione dell’emergenza sanitaria in corso.
“Un buon alpinista non lo sono”, subito precisò Mantovani. “Ma la montagna mi ha insegnato che cosa significa affrontare una parete. C’è la capacità tecnica, c’è la forza di sopportare la fatica, c’è la consapevolezza di quello che puoi fare. Fino a che punto spingerti nel pericolo e quando tornare indietro. E c’è l’altro, l’amico, la guida, con cui decidi tutto questo. L’alpinismo, come la medicina, è come la vita. E’ un fatto di onestà. Con te e gli altri”.
Il virus dell’alpinismo tra passione responsabilità
Il messaggio di questo immunologo con il virus dell’alpinismo è di non abbassare la guardia se si vuole essere certi di arrivare in vetta. Capita l’antifona? “Certo. L’estate scorsa, arrivato in un rifugio”, ha di recente riferito, “avevo una gran voglia di togliermi la mascherina, ma non l’ho fatto. Avevo visto un cameriere senza. Si tratta di dare il buon esempio: è anche una questione di responsabilità sociale”.
Quanto al collega “di piccozza” Ronchetti, entomologo per passione, si sa che pubblicò vari libri specialistici sui coleotteri di cui fu appassionato collezionista. Una passione da lui condivisa con il dottor Ferdinando Colombo, medico e studioso batteriologo, suo abituale compagno di spedizioni.
Si aggiunga che il professor Ronchetti fu delegato nei primi anni del secolo scorso del Gruppo lombardo alpinisti senza guide (acronimo Glasg), detto anche dei senza giudizio per i rischi che si assumevano. Che dire? Tutto lascia pensare che la vita dei luminari all’inizio dell’altro secolo fosse meno stressante rispetto a quella degli odierni camici bianchi. Di sicuro lasciava ampi margini all’immaginazione e all’avventura. E chissà se a pensarla così è anche il professor Mantovani. Da quel gentiluomo che è, il sospetto è che lo pensi ma eviti di riconoscerlo per non turbare i sonni (eterni) del professor Ronchetti. (Serafin)
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