Cos’è “rifugio” e cosa non lo è? Non è una domanda tanto per farla e non dovrebbe neanche trasformarsi in una contrapposizione tra chi difende il “vecchio rifugio tradizionale” e chi “va bene tutto purché si attiri turismo”. Il mondo in cui è nato il rifugio non esiste più e quindi bisognerebbe porsi la domanda su che ruolo dovrebbe avere un rifugio nell’attuale società. Forse non esistono modelli e bisogna reinventare guardando più al futuro che al passato, ma a un futuro che peschi in una nuova consapevolezza dell’importanza del limite. Serafin qui ci propone qualche ottimo spunto di riflessione da cui partire.
Risolvere l’equivoco della definizione “rifugio”
Rifugio o ristorante? Se lo chiedevano già agli albori del millennio alcune pubblicazioni specializzate. Sono trascorsi più di vent’anni e la domanda corre ancora di bocca in bocca e viene rilanciata online. Ora si apprende che Carlo Alberto Zanella, presidente del CAI Alto Adige, sul quotidiano “Il Dolomiti” del 6 settembre riprende il tema che il Club Alpino sembra aver lasciato nel frattempo cadere e si spinge ben più in là. Si tratta a suo avviso di normare istituzionalmente la differenza tra “rifugi” di montagna propriamente detti e tutte le altre strutture di alloggio e ristorazione che si definiscono “rifugio”ma nei fatti sono hotel o ristoranti che mettono bene in mostra i menu dei loro cuochi stellati.
Non è una questione di estetica o di tecnologia. Il nuovo rifugio ricoperto di alluminio inaugurato il 1° luglio al passo Santner sul Catinaccio fece e fa ancora discutere perché è cambiata la sua destinazione. Prima era un cubo messo su alla buona, ora si presenta come un hotel che sembra uscito da un cartoon di Paperino e C. Risulta che i turisti possano arrivare lassù anche in elicottero. Di ingordigia senza limiti parla il citato Zanella. Analoga, per fare un alrro esempio, la situazione di un frequentato rifugio al Piano Rancio, in Lombardia, che di rifugio sfoggia solo l’insegna sulla facciata liberty. Coniglio e “polenta vuncia” sono le specialità servite, ma vi vengono anche offerti affettati, gelati, spritz e patatine fritte.
Si consiglia, come ulteriore contributo alla riflessione, la lettura di alcuni articoli di Luca Rota, come C’è rifugio e rifugio, in montagna o Rifugi di montagna che non sono seri
Tra queste strutture si segnalano anche “capanne” che furono un tempo del Club Alpino, rifugi che vantano un ricco pedigree alpinistico, passate di mano per la scadenza della concessione. E che nella circostanza si sono rifatte il maquillage.
Niente di male. Accoglienti, in grado di offrire stanze da grand hotel anziché squallide camerate, queste strutture attirano un turismo goloso e spendereccio. Sono vere benedizioni dal punto di vista comerciale, in grado di organizzare veglioni con fiumi di spumasnte come avviene al pittoresco rifugetto extralusso dedicato a Comici all’Alpe di Siusi.
Ma ha ragione Zanella: l’equivoco su quel nome “rifugio” andrebbe chiarito una volta per tutte e c’è da meravigliarsi che il Club Alpino che di rifugi, quelli veri, ne possiede in quantità sparpagliati tra Alpi e Appennini, non abbia ancora provveduto.
Il rifugio “mondano” non è una novità
Tuttavia occorre ammettere che nel turismo alpino la presenza di strutture “griffate” ad alta quota ha costituito fin dai primi dello scorso secolo un’occasione di sviluppo accompagnandosi a un marcato processo in corso di “invenzione della montagna”.
Si trattò di fiabeschi “bazar umani” in alta montagna. Un esempio? Il Giomein di Cervinia oggi diventato un residence già alla nascita disponeva di cento posti letto dove trascorrere vacanze incantevoli dedicandosi a non pochi “incontri inattesi”.
Un po’ come avviene con le lussuose, colossali navi da crociera che oggi intasano i porti e inquinano il già inquinato mare nostrano.
Edmondo De Amicis illuminò con brio il contesto sociale e culturale del Giomein, descrivendo in un libro le abitudini di turisti e montanari che in quegli anni gettarono le basi del mito del Cervino. Arroccato come una fortezza su un’altissima rupe raggiungibile soltanto con un ardito ascensore, il Gran Budapest Hotel fu poi uno degli emblemi della catena alpina considerata dallo scrittore inglese Leslie Stephens “playground of Europe”. E sulla vetta del Rigi, in Svizzera, al Kulm, nel 1880 capitò per caso uno stravolto Tartarino di Tarascona che ebbe modo di apprezzare quell’albergo “massiccio come una fortezza, vetrato come un osservatorio”.
Come in tutte le sue opere pedagogiche, De Amicis trasfuse negli “Scritti del Giomein” (“Nel Regno del Cervino” pubblicato nel 1998 nella collana dei “Licheni”con la prefazione di Piero Crivellaro e nel 2022 nella collana Stelle Alpine di Hoeopli) ), il suo rigore morale, invaghendosi in età ormai matura di quel piccolo mondo antico. Evidentemente ai tempi di De Amicis non si avvertiva la necessità di distinguere queste fiabesche strutture dai rari e modesti rifugi, catapecchie concepite per offrire riparo ai viandanti.
Cambia la società, dovrà cambiare anche il rifugio (la questione è come)
Con l’avvento della civiltà di massa i rapporti dei turisti con i rifugi alpini s’intende che cambiarono. Non è un caso che qualche socio del Sodalizio abbia di recente trovato riprovevole che alcuni rifugi si limitino a inalberare la prestigiosa insegna del Cai senza concedere il benché minimo e dovuto “privilegio” agli iscritti. Una famiglia di appassionati di montagna, tutti soci, riferì di essersi dovuta accontentare di pranzare all’aperto in uno di questi rifugi, in condizioni climatiche “non favorevoli” e per un motivo molto semplice: non avevano provveduto a prenotarsi come avevano fatto gli altri “comuni “clienti. Problema oggi risolto con una pratica piattaforma informatica. Ma si sa da tempo che l’accoglienza in un rifugio del Cai dev’essere disciplinata con un certo rigore. Basta rileggere un Tariffario del Cai all’inizio di questo millennio per rendersene conto. Come riportava la relativa circolare era “fatto obbligo di redigere il Tariffario sullo stampato apposito”. “In un distinto specchietto”, si leggeva, “devono essere elencate le tariffe imposte dalla Commissione Centrale”.
Il tariffario del Cai viene pubblicato e rinnovato ogni anno. Ad oggi vige ancora l’obbligo di esposizione, e da doverlo fare rispettare sono le sezioni proprietarie dei rifugi attraverso delle visite ispettive.
In caso di inosservanza la Commissione centrale fece la voce grossa annunciando (sic) “che avrebbe disposto la sospensione del contributo per la manutenzione, con la pubblicazione sulla stampa sociale dell’elenco delle Sezioni che non hanno adempiuto alle disposizioni regolamentari”.
Nel Tariffario veniva (e forse ancora viene, chissà) ribadita l’obbligatorietà del “sacco lenzuolo personale”. Le Sezioni erano invitate a sensibilizzare i gestori perché venisse fornito un servizio di ristorazione “semplice e genuina”. C’era in verità poco da scegliere e i frequentatori erano avvisati: o minestrone o pastasciutta. La tariffa era popolare: 6 euro la pietanza per i soci, 7,50 per i non soci. Questo è quanto veniva concesso a chi amava alloggiare in un rifugio nonostante i non pochi inconvenienti. Ma nn si sa mai: che sia un rifugio rifugio, non un ristorante camuffato da rifugio.
Roberto Serafin
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Il rifugio Comici è al passo Sella e non all’Alpe di Siusi, la copertura e l’esterno del Santner sono di un materiale simile a quello di Capanna Punta Penia , ai puristi tutto questo non piace, ma la frequentazione delle case alte è cambiata e quindi chi le gestisce sa come adeguarsi